Fonseca, se non si è del tutto convinti meglio separarsi subito

È lecito chiedersi, col massimo possibile della serenità, se dall’operato di Paulo Fonseca era lecito attendersi di più? Al netto di preconcetti e arrampicate tempestive sul carro di questo o quel papabile tecnico.

In realtà non dovrebbero esserci dubbi, né tecnici né filosofici: era non solo lecito, ma doveroso aspettarsi di più perché è arrivato quinto, dunque ha mancato il ritorno nell’Europa che conta e perché nella coppa nazionale e in quella europea di competenza la Roma è stata costretta a salutare troppo presto. Questo è il bilancio dati alla mano, che per i più intransigenti può diventare anche spietato.

Si potrebbe, anche a ragion veduta, argomentare in favore del tecnico che è stata una stagione talmente anomala da non avere precedenti con i quali confrontarla: vero, come è vero però che una delle fasi più positive – discorso che vale anche per il Milan – dell’annata è arrivata nella tranche di calendario seguita alla ripresa dell’attività.

Fino al Siviglia.

L’ottavo di finale dell’Europa League in Germania non è stato rappresentato solamente da una gara secca, contro una compagine forte ed esperta: è stato anche un banco di prova. Ed era diventata, giocoforza, la partita più importante della stagione. Una partita che per Dzeko e compagni non è mai cominciata; in cui la Roma non ha mai, di fatto, rappresentato il benché minimo pericolo per gli uomini di Lopetegui. Perché si poteva andar fuori, certo, in mille maniere e per colpa di mille situazioni o episodi; nessuno, però, nemmeno il più disilluso tra i sostenitori, credeva che si andasse fuori così, con quella totale arrendevolezza.

Poi, se ricordiamo bene, sono arrivate le dichiarazioni di Edin Dzeko, a esasperare alcuni dubbi già esistenti sul gioco di Fonseca.

Se ripercorriamo questa interlocutoria stagione romanista, poi, ci accorgiamo che Fonseca è sceso a patti col campionato italiano prima, con le rivendicazioni della squadra poi, sacrificando un po’, almeno un po’ delle sue convinzioni. È un segno di forza se ottieni risultati, di debolezza se non li ottieni. Non è nemmeno giusto, ma è così.

L’impressione, per chi conosce la città e la sua sponda tifosa colorata di giallorosso, è che si stia rivivendo e rivedendo, magari con toni più soft, un film già proiettato in altre occasioni, per esempio all’inizio di quella che fu l’ultima (mezza) stagione di Rudi Garcia: ricominciare con una serie di perplessità e con la necessità di ribadire, da parte dei nuovi dirigenti, che il tecnico gode della massima fiducia, ha in realtà l’effetto di far aumentare i dubbi, anche se l’intenzione sarebbe quella opposta.

Tradotto con la massima semplicità ma anche con tutta la spietatezza possibile: se si deve ricominciare senza il massimo della convinzione circa la guida tecnica, per il bene della Roma e dello Fonseca allora sarebbe meglio non ricominciare per niente, scegliendo subito un’altra guida alla quale affidare una squadra che deve rilanciare le proprie ambizioni.

Paolo Marcacci