Divisi, isolati, costretti nei propri banchi (nel migliore dei casi già dotati di rotelle). Così sono suonate le campanelle del nuovo anno scolastico, con gli studenti che a causa delle misure di sicurezza anti-Covid, si sono ritrovati in una scuola da riconoscere a stento, sebbene le aule fossero le stesse rimaste vuote troppo presto nell’annata precedente.
Non sono soltanto i banchi a rotelle e le restrizioni ad hoc per evitare possibili focolai che cambieranno inesorabilmente l’istituzione scolastica, la quale da tempo, secondo il filosofo Diego Fusaro, ha iniziato un processo di deidentificazione, che porterà le nuove generazioni a non riconoscersi più. E non solo per colpa della mascherina.
L’incertezza nel futuro si fa più fitta di generazione in generazione: è per questo, secondo il saggista, che andrebbe riscoperta la capacità della scuola di aiutare gli studenti a scoprire se stessi e la loro identità culturale.
Spolverare il passato per rendere più limpido il futuro può essere la ricetta per spazzare via la decadenza in cui versa la nostra società?
Ecco cosa ci ha detto Diego Fusaro a ‘Un Giorno Speciale’.
“Colpire la scuola è il primo passo da fare per produrre la disidentificazione delle nuove generazioni. E infatti la scuola sempre più non fornisce un’educazione, una bildung, una formazione di uomini consapevoli della loro provenienza e della loro progettualità.
La scuola diviene semplicemente un’azienda che fornisce ” know-how” per trasformare i giovani in capitale umano che si autovalorizzi nell’ambito del mercato. Nel tempo del liberismo ciascuno non ha un’azienda, ma è un’azienda.
Bisogna ripartire da una valorizzazione della scuola e della cultura classica. Ho più volte espresso l’importanza ineludibile di una scuola sui classici e quindi sulla cultura classica e sulle lingue classiche: greco e latino in primis per quel che riguarda appunto le ragioni della nostra identità italiana. Se abbandoniamo il nostro passato, abbiamo reso mutilo il nostro futuro.
Noi umani (a differenza delle cose che, semplicemente, sono) esistiamo, e quindi rammemoriamo il passato – quindi la nostra provenienza – progettando prospetticamente il futuro. Se veniamo privati di questa dimensione e della nostra identità non esistiamo come umani, ma siamo come cose, come merci fra le merci, che è quello che sta sempre più avvenendo.
Bisogna difendere chi siamo per difendere anche gli altri: senza rispetto della propria identità, non c’è rispetto dell’identità altrui“.
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