Vittorio Sgarbi non ha fatto quelle sceneggiate a caso. Tante le volte in cui, chiamato in causa in aula, ha protestato in modo veemente venendo richiamato in più occasioni a causa della mascherina mal posta sul volto o totalmente rimossa.
Semplice ideologia no-mask o negazionismo? No, come dice il critico stesso a ‘Un Giorno Speciale’.
Tra i suoi ultimi viaggi c’è stata infatti l’Albania dove, come afferma ai microfoni di Francesco Vergovich, non ci sono gli obblighi a cui noi italiani (a maggior ragione dopo l’ultimo Dpcm del 7 ottobre) siamo sottoposti.
Meno mascherine, ma non più focolai: questo il particolare che fa notare Sgarbi, senza contare l’aspetto prettamente economico.
Una cifra spropositata di presidi medici vengono venduti giornalmente per quel che a tutti gli effetti è uno dei business più redditizi del momento, numeri alla mano.
Business di cui non si conosce la fine, e di cui non si conoscerà fino al momento del tanto agognato vaccino, che pure secondo Sgarbi ha assunto l’infausto ruolo di sostituito di Dio nelle speranze degli uomini.
Ecco il suo intervento a ‘Un Giorno Speciale’.
“Un tempo la peste aveva tra le sue soluzioni la preghiera, l’uomo aveva speranza in un bene che ora viene completamente allontanato e Dio si chiama vaccino. Oggi Dio si chiama vaccino.
Quelli che hanno voluto speculare sul vaccino saranno contenti, così come quelli che fanno le mascherine: ogni giorno vengono acquistate trenta milioni di mascherine. E’ un affare colossale e nessuno ci pensa. La mascherina è talmente inutile che in Svezia, dove non la usano, ci sono meno morti che in Italia. In Albania che è un Paese apparentemente povero, non la usano. Non fanno terrorismo.
Ora ti fanno vedere situazioni drammatiche ma non gli ospedali, perché le persone arrivate in ospedale sono un numero assolutamente fisiologico. Si ingannano da soli, però da sei mesi fanno vedere soltanto situazioni drammatiche, elenchi di contagiati. Purtroppo hanno pochi morti e non riescono più a sfruttarli. Fanno schifo. Dio deve fulminarli.
Dal coronavirus si tende a guarire, la norma non è la morte. Non è la peste. Quelli che muoiono, lo fanno perché hanno avuto la sfiga di una carica più intensa, ma il 99,9% di loro hanno avuto patologie che sono state potenziate dal coronavirus.
Se uno va a vedere i morti sono tutti dai 79 anni in su: non c’è un solo morto tra i 10 e i 30 anni. E ce ne sono 4 in tutta la storia del coronavirus sotto i dieci anni, probabilmente perché avevano qualche disfunzione“.
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