Scuole: le prime a rispettare, le uniche a rischiare

La persona è la stessa, le realtà sembrano due. Almeno due. 

Teresa – la chiameremo così – è un’insegnante di scienze che lavora in un istituto superiore dalle parti di Roma nord – est. Per andare a scuola si serve dei mezzi – trenino o metro a seconda del casi – e ogni mattina si trova ad affrontare, per sua fortuna per poche fermate, la medesima situazione: convogli stracolmi, passeggeri pigiati come sardine, mascherine indossate in più di un’occasione in modo “alternativo”: naso fuori per non appannare gli occhiali, elastico lento, “magheggi” vari per toglierla di continuo con la scusa di sistemarla. 

In più di un’occasione, Teresa ha visto salire gruppetti di nomadi, grandi e piccoli, privi di mascherina: il fatto di non indossarla, consente loro di farsi il vuoto attorno e di riuscire a sedersi perché la gente, per timore, si sposta. 

Di potenziamento dei mezzi, aumenti delle corse e dei convogli non c’è traccia; quantomeno, non se ne vedono gli effetti. 

Poi, Teresa entra a scuola: toglie la sua mascherina, ogni mattina indossa quella che le fornisce l’istituto; sanifica le mani prima di firmare, quindi entra in classe. I ragazzi, pur soffrendo molto, indossano la mascherina anche al banco, dove sono seduti osservando con rigore il distanziamento. Non possono passarsi la penna, non possono mettere il libro di testo in mezzo, anche se al compagno di banco non è ancora arrivato. Questo è il modus operandi e il rispetto è massimo, per quanto riguarda il protocollo scolastico.

Un giorno, accade che un’allieva che fa parte della classe di Teresa, risulti positiva al COVID.
Scatta la quarantena per tutti i compagni e tutti i docenti della classe. Non importa che Teresa e i colleghi abbiano sempre rispettato il protocollo: finestre e porte sempre aperte; cattedra ad ameno due metri dai banchi; mascherina sempre indossata ed esclusa, quindi, ogni possibilità di contatto. 

Dopo un test rapido e un tampone di conferma della sua negatività, Teresa tornerà al lavoro, col rischio che il fatto si ripeta, pur se le scuole, la sua come le altre, sono uno dei luoghi più controllati in assoluto.

Nel frattempo, mentre si invoca in modo sempre più veemente la chiusura delle scuole, sorvolando ad arte sui danni già prodotti dalla mancanza di didattica in presenza, i mezzi pubblici continuano a scarrozzare gente stipata come sardine in una scatola e nei supermercati, dove Teresa durante la quarantena non può andare a fare la spesa, la gente continua ad abbassare la mascherina sotto il naso e a entrare senza più il tetto di un numero massimo prestabilito. 

Così è, se vi pare. 

Paolo Marcacci