La malafede dei censori di Trump svelata in un tweet: guardate cosa scriveva Hillary Clinton nel 2011

Vi è una novità, forse, della quale non molti si sono accorti. Tale novità può essere sintetizzata come segue: ormai i colossi privati, sradicati e deterritorializzati come le piattaforme della rete Facebook e Twitter stanno operativamente al di sopra della politica.
Si collocano in un Empireo collocato altrove, soprattutto al di sopra rispetto alla decisione politica degli Stati sovrani nazionali; e possono – in qualità di privati e senza mai transitare dalla mediazione dei parlamenti o di altri luoghi anche solo vagamente democratici – decidere d’imperio chi silenziare, o addirittura chi far sparire per sempre.

I desaparecidos del digitale” potremmo appellarli.

E’ accaduto a tanti in questi mesi, ma soprattutto è accaduto a Donald Trump, Presidente uscente degli Stati Uniti d’America, il cui profilo Twitter è stato chiuso per sempre.

Perfino l’ex Presidente degli Stati Uniti d’America ha fatto la fine che in Cile facevano i dissidenti (anche se in questo caso solo a livello digitale).
E’ un desaparecido.
Curiosamente molti, tra i quali anche il giornalista Gad Lerner, hanno detto che è una scelta giusta quella di silenziare persone come Trump e che, anzi, dovremmo fare altrettanto in Italia.

Non voglio entrare nel dibattito se Trump sia stato un buon presidente oppure no. Non è questo il cuore della questione.
Il cuore della questione sta altrove.

Mentre gli sciocchi giubileranno perché Trump è stato silenziato, o magari alternativamente perché Biden è stato silenziato (cosa invero più difficile che accada, dacché Biden è espressione diretta del cartello global-finanziario), pochi riflettono sulla gravità di questo nuovo scenario che sta prendendo forma.
Taluni diranno stoltamente che “sono piattaforme private, e che – ergo – fanno ciò che vogliono“. E con ciò è toccata una questione che mi pare dirimente: il privato non è spazio anarchico in cui si fa ciò che si vuole.

Il privato deve comunque rispondere alla legge e alla Costituzione dello Stato in cui opera.
Nel vostro negozio sotto casa, ad esempio, che pure è uno spazio privato, non è possibile che vengano cacciate persone con idee non gradite o, supponiamo, con occhi azzurri e pelle nera.
A chi debbono rispondere, di grazia, i colossi del web?
Solo alla loro volontà e al gusto del “sultano digitale” di turno?
Quod placuit principihabet vigorem legis? (Ciò che è gradito al principe, ha valore di legge?).

O ancora, debbono rispondere alla legge dello Stato in cui hanno sede fiscale? O, ancora, alla legge del Paese in cui è collocato il singolo fruitore del servizio?

Sono tante domande che credo meritino una risposta o una discussione critica.

Del resto, vedete, è stato detto che il profilo Twitter del Presidente Trump è stato chiuso perché “istigava all’odio”.
Curiosa davvero come motivazione: “We came, he saw, he died” (“Siamo venuti, ci ha visti, è morto“).
Così disse pubblicamente, ridendo come una strega, Hillary Clinton nel 2011 della morte di Gheddafi. Non mi pare che i suoi profili Facebook e Twitter fossero stati sospesi per “incitamento all’odio”. Né mi pare che siano stati chiusi quelli di Barack Obama, premio Nobel per la pace ed espressione dell’imperialismo dei bombardamenti etici statunitensi.

Insomma, chi decide?
Chi controllerà i controllori?
Qui custodiet ipsos custodes?

RadioAttività, lampi del pensiero quotidiano – Con Diego Fusaro