Prima che il pallone cominci a scorrere sul prato umido di uno Stadio Olimpico mai così deserto, va ricordato a tutti, da Fonseca in poi, che stasera inizia la competizione che la Roma deve fare di tutto per onorare fino in fondo e in ogni modo, poiché è dalla Coppa Italia che, verosimilmente, passano le possibilità del ritorno alla conquista di un trofeo.
Prima si torna in campo, meglio è. Non è soltanto uno dei più antichi luoghi comuni che il calcio ripropone come risposta a una sconfitta: stavolta, perlomeno stavolta, è senz’altro vero. Prima del fischio d’inizio del ligure Ghersini, pensiamo che sia anche utile.
Perché, tra l’altro, ci sono sconfitte e sconfitte e non è soltanto una questione “stracittadina”, in questo caso, perché più che dal risultato – che poteva essere peggiore – l’ambiente romanista è stato scosso e offeso dal modo.
È un distinguo fondamentale.
Possiamo discutere quanto volete dei più che discutibili episodi (vale anche per la concessione del rigore su Pellegrini), ma a livello di temperamento era lecito aspettarsi rabbia e fame. Non confusione e crescente mancanza di lucidità, con poche variazioni di ritmo.
Sapevamo che ci sarebbero volute attenzione e concentrazione sin dai primi minuti. Ma ancora prima, la rabbia.
Provocazione: ti serve l’allenatore per scendere in campo incazzato contro lo Spezia, in una gara secca, dopo un derby umiliante?
Forse era meglio non riprenderla, con il senno di poi, per mezzo del pareggio di Mkhitaryan. Perché, quantomeno, i tifosi della Roma, nell’ordine, si sarebbero risparmiati gli errori clamorosi di Mayoral sotto porta, due espulsioni in un giro di lancetta, il gol – non quotato per chi conosce la storia della Roma -, il pallonetto di Saponara.
Dulcis in fundo, la questione degli slot. Cos’altro dobbiamo vedere?
Paolo Marcacci