Il 2 febbraio è uscito in tutte le librerie “Reagan. Il presidente che cambiò la politica americana”, perché hai deciso di raccontare la storia del 40esimo presidente degli Stati Uniti?
“Oggi parlando di talento dobbiamo ricordare che quella di Reagan è stata una vita molto interessante. Lui nasce a Tampico, nell’Illinois, in una famiglia poverissima. È curiosa la storia di questo giovane che si fa da solo, fa il bagnino, riesce attraverso l’attività sportiva a guadagnarsi una borsa di studio, quindi a studiare e laurearsi in economia, e poi del tutto casualmente diventa prima telecronista sportivo di un certo livello, poi, sempre casualmente, attore. Lui stesso si è autodefinito attore di Serie B, non è una stella di primaria importanza del firmamento di Hollywood ma è una buona spalla di grandi attori e tutti i grandi attori lo scelgono perché è un ottimo comprimario. Diventa poi il Presidente del sindacato degli attori del cinema americano, sindacato potentissimo perché gestisce fondi importanti, riesce ad essere eletto governatore della California, uno degli stati più importanti dell’unione americana. E poi attraverso varie vicende che racconto nel libro, l’approdo alla Casa Bianca. È una tipica storia americana di chi nasce dal nulla e come direbbe Machiavelli a proposito del talento “metà fortuna e metà virtù” perché la sola virtù non si va da nessuna parte”.
Nella politica vedi dei talenti?
“I grandi leader del passato si sono formati al fuoco di una forte collaborazione culturale. Benedetto Croce diceva che la politica deve essere la proiezione di quello che viene sedimentato nel mondo delle idee, cioè nel mondo delle idee si elaborano dei concetti, delle ideologie e la politica deve essere la proiezione di quello che viene elaborato nel mondo della cultura. Ad oggi questo meccanismo credo che si sia spezzato.
Dobbiamo essere onesti e dire che forse Draghi è un talento, è un personaggio che si è guadagnato una stima internazionale. Probabilmente lo è anche il nostro Presidente Mattarella perché è un uomo di grande equilibrio, conosce bene il dettato costituzionale e la prassi politica e la sa applicare.
Certamente in questa fase storia non abbiamo Einaudi, De Gasperi, Fanfani, Berlinguer o Almirante, non abbiamo persone che si sono formate attraverso dei passaggi di vita molto forti. Prima esisteva un cursus nella politica che alla fine ti portava, se avevi una grande capacità di elaborazione, di tempra e di tenuta, a diventare un ministro, ora le carriere politiche si formano nei talk show televisivi.
Perché fa paura Draghi? Per la vicinanza con l’Europa?
“Credo che sia una persona sufficientemente capace di sganciarsi da un certo dogmatismo. L’Europa non è solo una creazione amministrativa, l’Europa promana da una storia comune. Ora il tema è capire fino a che punto le istituzioni comunitarie riescano ad essere all’altezza di questa tradizione culturale e politica europea.
Noi senza Europa non andiamo da nessuna parte, ormai si sta configurando un multipolarismo globale ed è evidente che l’Europa deve essere unita se vuole competere e avere un posto sui questi grandi scacchieri multipolari globali. Gli errori che sono stati fatti nella gestione della pandemia sono italiani non europei”.
A una crisi di governo, dal 2008, non è mai corrisposto un periodo di votazioni, in Italia non si può votare?
“È un tema importantissimo, il voto secondo la nostra costituzione è la più alta espressione della sovranità popolare in un dato momento storico. Senza l’espressione della pubblica opinione noi non abbiamo una democrazia autentica e compiuta. E devo dire che in passato era frequente il ricorso alle elezioni anticipate. Prima avevamo molti governi che duravano mediamente un paio di anni ma avevamo una sostanziale stabilità del sistema. I governi erano variabili ma il sistema era stabile perché incentrato su due grandi partiti, Democrazia Cristiana e Partito Comunista che da soli facevano il 60% dell’elettorato, e poi c’era il Partito Socialista, Movimento Sociale, Social Democratico e poi c’erano i laici, i repubblicani e i liberali. Quindi c’era un sistema politico abbastanza costante nei decenni. Le elezioni non sono un fatto traumatico, ma è importante quello che ha detto Mattarella, e cioè che per tornare a una normalità della vita sociale e civile dobbiamo prima sconfiggere il virus. L’altro fatto importante è che noi siamo chiamati a presentare il piano del Recovery all’Europa e bisogna farlo bene e in fretta. Credo che le domande della gente siano incentrate su due fattori: la campagna di vaccinazione, dobbiamo vaccinarci tutti e bene per raggiungere l’immunità di gregge; far ripartire la vita sociale e economica del Paese perché le condizioni sono drammatiche”.
Ma perché Renzi ha fatto cadere il governo?
“Credo che il suo obiettivo fosse quello di spodestare Conte, perché l’ex Premier paradossalmente insiste sulla stessa area politica centrista di Renzi e due galli nello stesso pollaio non possono coesistere e quindi c’era questa esigenza politica più di prospettiva che immediata di far cadere Conte. E ci è riuscito. Poi in questa vicenda può aver inciso anche un dato psicologico personale, nel senso dell’insofferenza dei due personaggi”.
Sonia D’Agostino, da ‘Io le donne non le capisco‘