“Se c’è una cosa che abbiamo apprezzato, oltre al risultato rotondo, al termine della trasferta portoghese è proprio questa: l’aver fronteggiato l’emergenza senza per questo smarrire l’identità“.
Quesito filosofico: è stato più difficile per il Braga dover giocare in dieci, dopo l’espulsione di Esgaio o per la Roma dover ricollocare, a gara in corso, Spinazzola e Karsdorp nel pacchetto centrale e Veretout a fare, praticamente, il terzino?
Dibattito aperto ma chi scrive propende per la seconda ipotesi, perché la Roma ha dovuto ridefinire se stessa avendo, nel frattempo, esaurito gli omologhi per i ruoli di difensori centrali, visto che aveva dovuto rinunciare in partenza a Kumbulla e Smalling.
Di conseguenza, se c’è una cosa che abbiamo apprezzato, oltre al risultato rotondo, al termine della trasferta portoghese è proprio questa: l’aver fronteggiato l’emergenza, dovendo anche cambiare la collocazione dei giocatori superstiti e la disposizione delle linee dal punto di vista numerico senza per questo smarrire l’identità e la natura del gioco, oltre che la conduzione della gara, comunque mai messa in discussione.
È vero ed è anche giusto, in fondo, che il giudizio globale sugli allenatori si basi, alla fine, sui risultati finali che ottengono. Quale che sia alla fine il piazzamento della Roma, sarebbe però giusto che il bilancio sul lavoro di Fonseca tenesse conto perlomeno di due fattori: innanzitutto il fatto di aver dovuto navigare da solo e, ancora più solo, fronteggiare l’esercito dei critici, soprattutto prima dell’arrivo di Pinto; in secondo luogo il non aver quasi mai avuto a disposizione tutto l’organico, con conseguente mancanza di alternative e forzature negli adattamenti, Cristante in primis.
Sarebbe perlomeno giusto, poi ognuno conservi pure le proprie idee e le proprie considerazioni.
Paolo Marcacci